Piracy Shield: Una soluzione che diventa un problema

24 Gennaio 2025

Immagina un mondo in cui, per spegnere un incendio, i vigili del fuoco sommergano l’intero quartiere sotto metri d’acqua. Questo è ciò che è successo con Piracy Shield, un sistema evidentemente progettato senza una chiara comprensione del funzionamento di Internet e delle sue dinamiche. Il risultato è una sorta di caccia al ladro in cui, paradossalmente, a farne le spese sono spesso gli innocenti. Chi trasmette illegalmente contenuti riesce comunque a eludere i controlli sfruttando IP dinamici e altri strumenti, mentre numerosi siti estranei alla pirateria si trovano ingiustamente oscurati, vittime di un sistema inefficace e sproporzionato.

Piracy Shield è una piattaforma tecnologica introdotta per contrastare lo streaming illegale, in particolare di eventi sportivi, ma non solo. Questa iniziativa nasce dalla legge n. 93, approvata nel luglio dello scorso anno, e consente ai detentori dei diritti di trasmissione di segnalare i domini sospettati di pirateria. Operatori come DAZN, Sky, Mediaset, e la Lega Serie A possono utilizzare Piracy Shield per indicare i siti che trasmettono contenuti in violazione dei loro diritti.

Il sistema è stato progettato per bloccare questi domini entro 30 minuti dalla segnalazione, coinvolgendo tutti i fornitori di servizi Internet. Sviluppata da SPTech, una società privata collegata allo studio legale Previti, la piattaforma è stata donata alla AGCOM dalla Lega Serie A.

Il fallimento di Piracy Shield

Piracy Shield è nato con un obiettivo nobile: proteggere i diritti d'autore nel mondo dello streaming sportivo. Tuttavia, il recente oscuramento di Google Drive – una risorsa essenziale per milioni di utenti – ha dimostrato che questa piattaforma è una bomba a orologeria per la rete. Un errore di segnalazione ha reso inaccessibili servizi fondamentali, rivelando falle sistemiche nella progettazione e nell’esecuzione.

Errori umani e processi fallimentari

Il sistema permette ai detentori di diritti di segnalare domini ritenuti colpevoli, ma con soli 60 secondi per correggere eventuali errori. Un tempo ridicolo, che ha portato a disastri come quello di Google Drive. Peggio ancora, gli utenti colpiti scoprono l’oscuramento solo provando ad accedere ai loro siti, mentre i responsabili delle segnalazioni non affrontano conseguenze tangibili per le loro azioni.

Un problema di trasparenza e controllo

La mancanza di trasparenza è allarmante: chi segnala e provoca errori rimane nell’ombra, protetto da una burocrazia opaca. Questo sistema non solo manca di responsabilità, ma alza barriere per chi cerca di contestare decisioni sbagliate. La fiducia nell’autorità regolatoria è messa a dura prova, e la mancanza di una white list comprensibile alimenta ulteriori dubbi.

Problematiche tecniche

Un aspetto cruciale che evidenzia l'inefficacia di Piracy Shield riguarda il funzionamento dei sistemi DNS. Quando viene inserito un blocco, la risposta DNS viene memorizzata attraverso un meccanismo chiamato caching. Ciò significa che, anche se il blocco viene rimosso, la risposta errata può continuare a circolare per ore o persino giorni – in alcuni casi fino a 72 ore. Questo ritardo rende impossibile rimuovere i blocchi in modo istantaneo, dimostrando quanto sia problematico affidarsi a blocchi DNS automatici senza una verifica adeguata. Ancora più grave è l’idea di bloccare interi indirizzi IP, una pratica universalmente considerata sbagliata, che amplifica gli errori e causa danni collaterali significativi.

Il rischio di danni irreversibili

Cosa succede se il prossimo errore colpisce un ospedale, un servizio di emergenza o un’infrastruttura critica? Gli esperti avvertono: bloccare indiscriminatamente risorse online è come usare un martello per aggiustare un orologio. È un approccio grossolano, paragonabile all'uso di un cannone per eliminare una zanzara. Questo sistema, per quanto potente, manca della precisione necessaria e rischia di provocare danni collaterali enormi, tra cui l’interruzione di servizi critici. Gli errori potrebbero non fermarsi al semplice disagio tecnologico, ma arrivare a conseguenze molto più gravi, come il rischio di mettere a repentaglio vite umane.

Una soluzione possibile?

La strada per rimediare a questa situazione è chiara, ma non semplice:

  1. Responsabilità nelle segnalazioni: I segnalatori devono rispondere degli errori.
  2. Procedure di ripristino automatico: Blocchi temporanei con scadenze definite.
  3. Investimenti tecnologici: Sistemi di watermarking avanzati e protezioni native per i contenuti, anziché affidarsi a misure punitive.

Una riflessione necessaria

Piracy Shield non può continuare così. La piattaforma rischia di diventare l’incarnazione dell’incapacità tecnologica e legislativa di affrontare la modernità. La lotta alla pirateria è sacrosanta, ma non può trasformarsi in un pericolo per la rete stessa.

Cristiano Pivato

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